Intreccio di destini
Fu verso le 5 di sera
Pioveva a dirotto. Non era ancora del tutto buio. Molti uomini erano qui dove prima c’era il ponte quando improvvisamente l’acqua che scendeva impetuosa pochi momenti prima sradicando alberi e sassi, mancò. Istintivamente gli occhi si rivolsero in alto dove una grossa colonna d’acqua precipitava in basso preceduta dal sibilo sinistro generato dallo spostamento d’aria. Ad un certo punto della valle, in una strettoia, il materiale aveva ostruito il passaggio. La forza dell’impeto e la veemenza della corrente ruppe il fondo dell’improvvisato lago e come un bolide tutto precipitò verso il paese, rompendo e trascinando sassi, tronchi d’albero e macigni. Fortuna volle che la sciagura l’abbiamo vista arrivare e abbiamo potuto salvarci. Fosse stato di notte il bilancio sarebbe stato ben più grave.
Racconto di un milite del corpo pompieristico di Someo.
Chi fugge, chi si salva, chi muore
Il capostazione dopo la partenza del treno per Locarno – alle 5 pomeridiane – rientrò in casa. Visto il tempo orribile che imperversava e il torrente che ingrossatosi improvvisamente rumoreggiava rabbioso, confidò le sue apprensioni alla moglie. A un tratto nel rombo del temporale ebbe l’impressione di una scossa di terremoto e sentì sobbalzare la casa sotto ai piedi. Agguantò allora la propria bambina come un fardello e, gridando alla moglie di seguirlo, si avviò attraversando i campi con l’intento di raggiungere la casa di una conoscente. Quando vi arrivò, malconcio fra mille stenti, la donna che doveva ospitarli, fuggiva dalla sua casa che rimase illesa. La povera donna, accompagnata dalla figlia (che si salvò), trovò invece la morte sotto la frana del Rì Grand. La sua salma fu recuperata sul greto del fiume a Giumaglio. Il treno delle 5 fece appena in tempo a lasciare la stazione prima che cadessero le due frane. Rimase però bloccato poco lontano da Someo.
Giuseppe Tognazzini, capostazione di Someo. Durante la fase più attiva del maltempo, quattro dei suoi 5 figli furono dati per dispersi. Fortunatamente si salvarono trovando rifugio in case private.
Adolfo Tomasini viveva con la famiglia nella parte ovest del villaggio. Suo padre, preoccupato per le bovine alloggiate in una stalla, si recò a chiamare il figlio per farsi aiutare a spostarle al sicuro. Sotto l’imperversare del maltempo, i due giunsero sul posto proprio quando cadde la prima frana. Morirono entrambi. Il padre fu ritrovato qualche giorno dopo, poco lontano dalla sua abitazione con il manico dell’ombrello ancora in mano. Nel franamento perì anche la domestica valtellinese di Vincenzo Tomasini. Adolfo Tomasini lasciò a piangerlo la giovane moglie con due bambini piccoli. Altre tre vittime si contarono nella famiglia Lanotti. Il maestro Fulvio Lanotti con la moglie e il figlio di due anni, abitava in una casa situata dove oggi c’è la piazza comunale. Udito il fragore della seconda frana che stava per precipitare sul paese, prese in braccio il figlioletto gridando alla moglie Domitilla e alla cognata Domenica di seguirlo. Giunto sull’uscio, sopraggiunse la frana che fortunosamente lo evitò mentre un macigno di grosse dimensioni entrò come un proiettile in casa, sventrandola all’altezza del primo piano. L’uomo si voltò. Non vide più le donne. Corse a portare in salvo il figlio e tornò sui suoi passi. La moglie e la cognata erano scomparse. Le loro salme furono ritrovate alcuni giorni dopo nella cantina allagata. Nel Disastro, il maestro Lanotti perse anche la mamma Maddalena fuggiasca assieme all’altro figlio Claudio fortunosamente sopravvissuto.
Il coraggio di due suore
Sulla sponda sinistra del torrente sorgeva il primo ospizio comunale retto dalle suore Guanelliane che, preoccupate, incominciarono ad evacuare l’edificio dai tre ricoverati: due donne e un uomo. Le prime furono allontanate in sicurezza. Dell’uomo, Eustacchio Antognazzi infermo a letto, si occupò Americo Righetti che se lo caricò sulle spalle. Il gruppetto era appena giunto in strada che lo spostamento d’aria li avvolse. Il Righetti cadde e fu investito dalla furia dell’acqua rimanendo fortunatamente incolume. L’Antognazzi fu trascinato via. Una suora cercò di trattenerlo ma invano. Le due religiose vennero a trovarsi su una specie di isolotto, completamente circondato dall’acqua e dai macigni caduti dalla montagna. In quella tragica posizione dovettero rimanere per circa tre ore prima di essere soccorse.
Cara sorella ti scrivo…
Immaginatevi miei cari come fu terribile per tutti quella notte nell’incertezza della sorte di ognuno, e sotto l’oscura procella senza speranza di soccorso. Alla mattina seguente vagavano tutti sulle rovine come tanti spettri e senza favella. Povero il mio caro Someo! Pochi giorni prima così lindo e ridente con le sue belle palazzine coi suoi giardini in fiore ora non era che un ammasso di rovine e di rottami, ovunque si vedevano mobilia rotta, materassi e biancheria tutto ciò in somma che di utile e di caro contenevano le case distrutte. Ah! sì miei cari, io non fui presente nell’ora fatale ma quando vidi per la prima volta il mio amato paese le forze mi mancarono. Quelle prime case distrutte mi ottenebrarono la vista, in essa abbiamo avuto anche noi delle care memorie e sotto quelle macerie hanno trovato la morte dei parenti cari. Grandi sono i danni materiali ma più d’ogni altro sono le vittime che ci addolorano e della loro morte non possiamo ancora persuaderci.
Estratto da una lettera di Armida Tunzi-Dalidio alla sorella in California.